Questo post è un'anticipazione al libro: Un Viale Alberato. Spero vi entusiasmi, buona lettura!
Ero
in una piazza di fronte a tanta gente, altolocati sembrava dai
vestiti sgargianti; venuti a vedere qualcosa di anomalo che rompeva
la loro monotonia giornaliera perché abituati a vivere costantemente
nel lusso senza problemi di alcuna sorta . Alcuni più vicini a me
erano medici, scettici che quei metodi cosi all’antica
funzionassero, convinti che la scienza fosse l’unica religione
possibile. Per ultime, facevano gruppo tutte le suore di quel posto.
Piegate ginocchioni a pregare in cerchio.
Il
mio sguardo notava tutto ciò, inconsapevole del fatto che fossero lì
per me, anzi no, per il fatto non comune .
Una
suora si avvicina a mia madre tendendo le braccia per prender quello
scricciolo ch'ero io, premuto al petto di Marisa.
Mamma
mi era sempre stata accanto, non voleva lasciarmi forse per paura di
perdermi , forse per paura di avere un’altra delusione e di non
poterla sopportare. Queste erano le emozioni che mi trasmetteva il
suo cuore che con il mio aveva accelerato il passo, battendo sempre
più forte , cosi forte che sembrava essere lo stesso organo.
Vivevo
quel momento di grande affettività ignaro di quello che stava per
succedere..
Tenendo
a distanza i miei genitori venni portato a lato di una vasca, al
centro del cerchio formato dalle donne incappucciate, le quali
sommessamente pregavano.
Due
di loro interruppero la circonferenza avvinandosi a me per aiutare la
suora madre a spogliarmi.
Ero
piccolo sì, ma lì, conobbi la vergogna e fu l’unica emozione che
in quel momento riuscii a provare. Un’emozione che si risvegliò in
me in seguito, ogni qualvolta dei medici e altre persone mi
toccarono.
Spogliato
di tutti i vestiti mi venne messa una crema, fresca ma del colore
delle cammole per essere subito immerso nella vasca.
Un’immagine
che ancora oggi a distanza di tutti questi anni mi fa rabbrividire.
Il
liquido contenuto era rosso, viscido, mi si avviluppò alle gambe
appena fui dentro. Non sembrava muoversi, non si increspò nemmeno un
po', né quando toccai la superficie, né quando fui dentro del
tutto. Un altro liquido che mi venne versato lentamente anche sulla
testa, lasciandolo scorrere lungo il corpo.
Forse
era una mia impressione dettata dalla vista di quel colore che
sembrava sangue, ma aveva proprio quel sapore, quasi di ferro. Aprivo
gli occhi cercando di vedere, ma li ricopriva un fiume rosso.
Sbattevo convulsamente le palpebre cercando di allontanare quel
liquido, annaspavo in un bagno di sangue, volevo uscirne!
Con
un gesto disperato strattonai le braccia liberandomi dalla presa
della suora che mi teneva, il liquido scivoloso mi permise di
riuscirci e mi alzai con fatica scivolando sul fondo, mi sfregai gli
occhi, gemendo e urlando. Sputavo sangue a quella suora che cercava
di tirarmi giù e urlavo a più non posso.…
…Non
so bene cosa gridassi in quei momenti ma mi sfinii completamente e,
vedendo che nessuno veniva in mio aiuto, il mio corpo mi abbandonò.
Ora erano quattro le religiose che mi trattenevano dentro.
In
quei momenti ero invaso dal terrore, ma anche e soprattutto dalla
rabbia per la grande vergogna che provavo nell’essere trattato come
un verme, un oggetto di miracolo umano, che, tra l’altro, non
avveniva.
Fuori
di me, con un groppo in gola e gli occhi umidi, sentendo pizzicori
dovunque per quel liquido viscoso che toccava ogni mia parte, mi
girai supplichevole verso mia madre, cercando il suo sguardo, il suo
aiuto, stavo per scoppiare in un gran pianto di fronte a quell’enorme
massa di persone, che mi guardava curiosa come si guarda una scimmia
fare le acrobazie al circo in piazza.
Portami
via di qui!, pensavo, portami via!!!. Ma non lo fece.
Invece mi sorrise, pensava di fare la cosa giusta.
Allora
non capivo, ci rimasi molto male, ce l’avevo con lei, ce l’avevo
con quelle suore che nemmeno mi guardavano gli occhi, mi avevano
toccato come credo si toccassero i lebbrosi durante la grande peste.
Non
ricordo come finì quella giornata .
A
quell’epoca ero abbastanza grande da poter avere già molti altri
ricordi ma, al contrario di tantissimi, io ne avevo solamente due,
che mi pesavano sul cuore come macigni, che dipingevano la mia
infanzia come una dura venuta al mondo.
Forse
inconsciamente avevo cancellato tutti gli altri momenti, in cliniche
e ospedali, peccato però non aver cancellato quelle che credo siano
le esperienze più traumatizzanti da affrontare per un bambino.
Dopo
quella volta nell'abbazia, i miei si convinsero che dal punto di
vista medico, a parte pomate e medicinali inutili ma anzi
peggiorativi, non vi fossero soluzioni.
Pensarono
di averne provate troppe senza successo. Volevano utilizzare però
l’ultima risorsa che gli rimaneva.....
Un
piccolo anticipo al mio romanzo :Un Viale Alberato. Spero vivamente
che questa prima introduzione al libro abbia stuzzicato la vostra
curiosità! ;) Come sempre v'invito a dare liberamente la vostra
opinione, qui oppure sui social network. <3
Vi
aspetto giovedì per un nuovo post della rubrica To Writers!
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