"Vaah”
Stavo passando una settimana infernale, ad ogni ora del giorno
chiamavo e nessuno rispondeva. Potevo solamente sperare che non
fossero stati incarcerati anche tutti i miei contatti. Cosa alquanto
improbabile, vista l'assoluta innocenza di mia madre.
Tutto
prendeva una piega così surreale da mandarmi in pappa il cervello, e
il peggio, era che il mio quotidiano Relax di enigmistica continuava
ad arrivarmi. Chi me lo mandava? Perchè non rispondeva alle mie
chiamate se poteva portarmi un giornale?!
Pieno
di frustrazione stavo cominciando a dare di matto, lasciandomi
trasportare dall'emozione come non era mia abitudine. Strappai
violentemente le prime pagine, accartocciandole, riducendole a
brandelli finchè non mi saltò all'occhio un particolare. Avevo
sfogliato almeno una decina di volte quel “coso” ma , solo in
quel momento mi accorsi del piccolo rebus sull'angolo di una pagina.
C'era solo una lettera scribacchiata malamente, non era completato.
Come e chi s'era permesso di toccare il mio giornalino porca...! Non
ero solitamente vezzo ad inveire, era la mia calma glaciale e
studiata a incutere paura non la mia bocca larga. Non so per quanto
rimasi a fissare incazzato e impotente quella lettera, e mi scossi
solo nel momento in cui capii ciò che voleva dirmi.
-Era
ora, Cazzo!!.- Guardai l'orologio. Appena in tempo, corsi a più non
posso verso la sala pranzo. Cosa effettivamente strana per me, visto
il vomito che provavo solo a vedere cosa mi mettevano nel piatto, una
stranezza che notarono tutti mentre li scansavo uno a uno per
arrivare al mio posto in velocità.
I
piatti erano lì ad aspettarci, come ogni giorno, come ad ogni
pranzo. Un pezzetto di carne macinata, (erano in molti a non avere
più i denti) del purè e tanta verdura, dalle carote alle zucchine,
al sedano. Ce la misi tutta per frenare la mia impazienza, avevo già
dato troppo nell'occhio e dovevo esser cauto, o la mia fuga sarebbe
arrivata al suo epilogo ancor prima di cominciare.
Il
rebus era chiaro, e anche il motivo di quella lettera. Sì, il rebus
era un indizio, veniva raffigurata una donna che guardava estasiata
un piatto colmo di cibo. Cibo vero, e quello non era il mio caso.
Sondai con lo sguardo tutto il pasto,doveva essere nascosta
all'interno del purè. Quando tutti ebbero preso posto, e le posate
cominciarono a tintinnare, presi anche io il mio cucchiaio tremante.
No,
non era il parkinson a farmi tremare, no, non ero lì per problemi
cerebrali di alcun genere. Ma la mano mi prudeva.
Presto, al posto del cucchiaio, avrei stretto ancora il calcio
della mia pistola.
Quando
la toccai col cucchiaio il mio cuore saltò un battito, ormai tutti
presi dal pranzo, non notarono la mia ricerca a mano nel purè.
Eccola,
la chiave. La chiave del cancello d'entrata, che al momento giusto
della serata mi avrebbe permesso di uscire indisturbato. Dopo una
certa ora infatti, anche Henry, la guardia del cancello andava a
dormire. In fondo, in un manicomio cosa ci poteva essere da rubare?
Era l'unica via di fuga essendo l'edificio circondato da una
rete e una siepe alte 5 metri, meglio così, non avevo intenzione di
fare arrampicata.
Le
ventidue si fecero attendere. Quelle ore passate a sognare la nottata
in uno dei miei appartamenti, non fecero altro che allontanare la
trepidante fuga, era come ascoltare il raspare delle unghie su una
lavagna pregandole di smetter presto.
Preciso
come un orologio
svizzero, alle dieci ero pronto e, come un giovinotto che esce
clandestinamente di casa, scavalcai la finestra della camera il più
silenziosamente possibile. Percorsi il giardino arrivando al selciato
ch'era la stradina d'ingresso.
Con l'oscurità che mi avvolgeva raggiunsi quatto quatto il
cancello, e grazie alla luna, avvicinai la chiave alla serratura.
Benedissi
quel raggio di luna che si specchiava sulla toppa, ma maledissi la
mano tremante che non riusciva a infilare la chiave.
-Veeh!
Porco giuda che cazz..!!- Sembrava un incubo, ma era reale. Più
spingevo la chiave nella serratura e più questa pareva rompersi,
squagliarsi tra le mie mani.
-Ehi!
Ehi tu!- Cazzo , come avevo fatto a dimenticare l'ultimo giro di
ronda che faceva Henry?! Per un attimo incrociammo gli sguardi, al
che lui cominciò a correre come un forsennato verso di me, e io,
sentendomi sempre più il topo in trappola continuavo a sbattere
l'ormai inesistente chiave sulla toppa. Poi la presi a pedate,
infine, col fiato di Henry quasi addosso, cominciai a scuoterla
violentemente, provocando così l'epilogo che non avrei mai voluto.
Persi l'equilibrio a causa del selciato umido sbattendo di cattiveria
la testa sulle spranghe del cancello. E tutto fu buio.
Mi
svegliò il trambusto che rimbombava ovunque nella mia testa, assieme
a una voce che urlava.
-Papà,
papà!!- Un giovane era chino su di me, con le lacrime al volto.
Chi
era quel ragazzo, cosa voleva?
-Papà
ma cosa hai combinato, mi hanno chiamato dal.... il medico mi ha
contattato dicendomi che ti sei preso una bella botta cercando di
scappare. Devi smetterla, lo sai che lì starai bene!-
-Vaaah,
veeeh !!! VAAAAAH, VEH!- Cominciavo a non capirci più nulla. chi
era quel ragazzo? Mi metteva angoscia. Perchè mi chiamava papà?
Perchè non ero riuscito a scappare? Perchè la chiave mi si era
squagliata in mano!?.
Fuori
dalla stanza...
-
Mi spiace signor Walter, suo padre sta peggiorando come può vedere.-
-
Ma dottore, com'è possibile, dicevate che in quella casa di cura si
sarebbe sentito meglio. Invece non mi riconosce nemmeno più!-
-
Si calmi, la prego. Evidentemente non ha reagito come speravamo. Ha
cominciato a costruirsi invece un mondo tutto suo.- Walter prese dal
medico il sacchetto di carta, conteneva gli unici effetti personali
di suo padre? -Queste cose erano nella sua tasca quando è caduto,
questo invece l'aveva in mano-
Il
medico lasciò il ragazzo, interdetto a guardare gli oggetti che
alimentavano la pazzia di suo padre: Una saponetta era il telefono
cellulare, una gamba di sedano ormai ridotta a brandelli era la sua
chiave.
Una
realtà ben diversa la sua.
Walter
era un veterinario, e suo padre, vedovo da quasi dieci anni, era un
poliziotto in pensione...malato di Alzheimer.
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