lunedì 7 marzo 2016

La festa della Donna. L'8 marzo.

Ciao amici, so di essere in anticipo di un giorno ma volevo esser coerente con lo schema ABABAB della pubblicazione dei post ;). 
Spero che questo speciale dedicato all'8 marzo sia apprezzato soprattutto dal gentil sesso! Grazie e buona lettura!


Esistono diverse teorie sull'evento che ha segnato la prima giornata della donna. La più conosciuta è la tragica morte di 146 operaie in una fabbrica tessile, avvenuta a New York nel lontano 8 marzo 1911, per altri comincia con la conferenza internazionale delle donne nel 1921.

 
Qualunque sia la versione alla quale crediamo, non penso sia così importante. L'importanza di questo giorno non è cosa lo ha fatto ricordare in passato, non per me almeno, ma la donna che vive a tutt'oggi, perché ogni giorno è per lei importante.
Quella che lavora, quella che va a prendere il figlio a scuola, quella che stende la biancheria dalla finestra, quella che s'incazza perché la casa è in disordine, quella innamorata. Ognuna delle cose che una donna fa, lo fa con l'amore materno che solo la figura femminile può avere.
Uomini, ogni giorno abbiamo un dovere nei confronti di queste donne: il dovere di ringraziarle. 
Una, no mi correggo : La Donna, è colei che in principio ha gioito nella sofferenza del parto, per vederci nascere, crescere e diventare uomini. La Donna è in grado di sacrificare tutta se stessa per rendere felice l'uomo che la merita, non per questo bisogna però abusare della sua gentilezza, anzi ricordatevi di fare attenzione perché la forza di una leonessa nel proteggere i loro cuccioli è ineguagliabile, e se una donna tiene davvero a qualcosa la difenderà con unghie e denti.
Sono più un tipo che si esprime a fatti, che preferisce dimostrare quanto tiene a qualcuno senza l'utilizzo di simboli , ma è vero anche che l'occhio vuol la sua parte, perciò ecco che fa capolino sul nostro discorso la mimosa.
La mimosa è originale della Tasmania, sboccia a fine inverno e con il suo bagliore paglierino illumina il grigiore invernale , è immagine della forza, della vitalità e femminilità di una donna per gli indiani d'America. Altro non è che un' albero appartenente alla famiglia dell'acacia donato, in ramo, dai giovani indiani alle donne cui aspiravano, vedendo in loro la futura compagna di vita. Era come un rituale d'accoppiamento.
Dopo queste riflessione vi propongo una mia versione della storia. Non è reale, ma potete crederlo se più vi piace.
                                                                                            ***
Siamo in Francia, verso la fine della seconda guerra mondiale dove ancora vigeva il coprifuoco nella periferia d'Orleans. La guerra era in realtà terminata ma per i poveri che abitavano quella zona, con le sei pomeridiane scoccava l'ultima ora d'aria prima di rifugiarsi nella fragilità delle piccole e malconce casette. In una di queste abitazioni logorate dalla povertà viveva una giovanissima coppia d'innamorati. S'erano conosciuti in momenti bui, in cui entrambi avevano perso qualcuno a causa della guerra e dopo solo un paio d'anni, presero la decisione d'abitare assieme nella piccola casetta della madre di Jean.
Jean era l'unico erede, l'ultimo rimasto della famiglia dopo che, sua madre, morì di crepacuore alla notizia della dipartita del primogenito. Fu per far fronte a tutte queste sofferenze che, la giovane coppia si ripromise che mai e poi mai si sarebbe lasciata, credendo così nella forza dell'amore. Per non rimaner soli, per ricostruire le loro famiglie appena terminata la guerra.
Dopo la liberazione della Francia e l'instaurazione della quarta repubblica il paese scivolava lentamente fuori dalle grinfie della povertà ma ancora esistevano tanti angoli bui, come appunto il paesello della nostra storia. La condizione umana era a dir poco peggiore delle poche bestie che pascolavano i campi coperti di macerie e polvere da sparo, i contadini si cibavano di radici appena emesse perché le piante non arrivavano al raccolto e i porcari mangiavano le carrube destinate al loro bestiame che ormai avevano perso. Jean non era né un lavoratore di campi né un allevatore di bestie, era un umile operaio in una delle tante fabbriche d'armi che ormai avevano chiuso. Lui come molti altri finita la guerra si ritrovarono a dover campare con gli avanzi gettati da gente benestante nel centro città. Questo non importava alla bellissima Jolie che, di nome e di fatto accoglieva sempre con gran gioia a braccia aperte quel compagno che, con un dente rotto o un occhio viola, cercava sempre di portarle a casa i manicaretti migliori, spesso facendo a pugni con gente altrettanto povera sotto le finestre dei borghesi.
Nonostante le avversità, o forse proprio grazie ad esse, il loro amore cresceva e si fortificava ogni giorno. Le speranze e i sogni erano tanti ma dovevano far del loro meglio per sopravvivere prima al presente.
I giorni più felici erano le domeniche di festa, in cui, le persone abbienti andavano alla messa e Jean si recava sul suo eden di primizie: Il giardino di un riccone dove, da tempo immemore crescevano alberi d'acacia. Jean aveva lo stesso nome di colui che nel 1600 li importò dalla Tasmania alla Francia, adorava quell'albero da cui si potevano prendere i fiori e farne una gigantesca frittata, o addirittura mangiare crudi a grappoli, certo non costituivano un pasto completo, ma erano un pasto gratuito, sano, non toccato da nessuno e soprattutto non doveva tornare a casa malandato per ottenerlo. Sua madre gli aveva insegnato molte cose , tra le quali la commestibilità di questi fiori aggiungendo però la raccomandazione di non rubare mai dal giardino di quel signorotto. La promessa di allora fatta da Jean, di non invadere quel giardino fu rotta però molto presto, a fin di bene s'intende e con l'approvazione della madre. Così, svegliatosi di buon'umore il nostro eroe diede un bacio a Jolie e se n' andò tutto pimpante a raccogliere i fiori bianchi come la neve. Era già ad un buon punto, aveva già riempito un sacco , gliene mancava solo un' altro e avrebbe fatto la scorta settimanale. Due era il suo numero, non lasciava spogli gli alberi ma gli permetteva di mangiare quando non riusciva a trovare altro.
-Alza le mani!- Il grido gli piombò addosso come un predatore selvaggio non lasciandogli scampo. Jean per abitudine non aveva verificato se i signori fossero in casa, sarebbe stato un disastro per non dire imbarazzante finire in prigione per dei fiori. Lasciò i sacchi cominciando a correre, spingendo con tutta la forza che aveva sulle gambe.
Bang Bang!. Bum! Capitolò finendo muso a terra a pochi centimetri da un albero, quel maledetto suono, pensava non l'avrebbe più risentito con la fine della guerra. Tremando si rialzò facendosi scudo col tronco dell'acacia dall'uomo che arrivava di corsa. Il tronco somigliava a quello delle altre piante ma, forse per l'adrenalina in corpo, forse avendola di sfuggita per la fuga, Jean vide fiori gialli e non bianchi. Di un giallo paglierino, tondi e anch'essi simili a un grappolo.
Jolie quella sera accolse un marito triste e affranto: Non era riuscito a portarle a casa il loro poco sostentamento e questo, gli pesava molto nonostante lei continuasse a rassicurarlo anche mentre si coricavano a pancia vuota.
Jean amava il gran cuore di quella donna, e Jolie amava il suo. Per questo, appena il compagno prese sonno Jolie decise di fare una pazzia: Sgattaiolare nel giardino del signorotto per prendere i fiori. La sottile gonna non fermava tutto quel vento e il cappuccio non la nascondeva come avrebbe voluto dalle ombre della notte. Non era mai uscita di casa dopo le diciotto. Entrata dal retro, riempì pian pianino i sacchi, fermandosi di tanto in tanto per dare un'occhiata alle finestre della villetta che, fortunatamente rimanevano scure. I bianchi fiori spargevano sulle ali del dolce vento notturno il loro delizioso profumo, rassicurando Jolie sul rientro a casa le facevano sognare il viso sorpreso e felice del marito. Bang! La donna raggelò. Come se in quel singolo istante tutta la notte fosse divenuta gelida sovrastando rumori, profumi e dolci pensieri. Bang Bang! La canna del fucile sparò altri due colpi. Non era lei il bersaglio, gli spari provenivano al di là della grande casa ma era meglio non rischiare. Jolie raccolse in fretta il sacco raccolto decidendo di fare il giro largo nascondendosi tra gli alberi. Jean le aveva appena accennato dell'albero dai fiori dorati ma appena si trovò a pochi passi seppe che era quello.
-Jolie... vita mia.. perdonami perché non ho mantenuto la promessa.- Jolie ebbe un sussulto scoprendo la figura di suo marito delinearsi a pochi passi dall'albero. Sembrava stanco, camminava male.
-Jean.. cosa, cosa ci fai qui?!- Lui cadde improvvisamente a terra, con una mano premuta sul fianco. Jolie accorse capendo solo in quell'istante il motivo di quegli spari. Jean era lì, steso a terra in malo modo ma sorrideva porgendole un ramo di quell'albero.
-Sono venuto a raccoglierlo per te, questo è il tuo fiore. Questa sei tu. La mia ricchezza in questa vita... Perdonami.-
Il suo ultimo sorriso. Il suo ultimo respiro. L'ultima volta in cui avrebbe potuto guardarlo negli occhi ascoltando il suo “TI AMO”.
E se ne andò, sorridendo. Jolie pianse, si disperò e pianse. Incurante delle voci che si stavano avvicinando, di quello che sarebbe potuto succederle.
Dopo aver speso tutte le lacrime che aveva se ne andò inconsapevole di cosa ne sarebbe stato del suo futuro, ma di una cosa era certa guardando quel ramo che teneva in mano. Jean non l'avrebbe mai lasciata.

Racconto inventato da: T.

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